Archeologia Medioevale: L’abside paleocristiana della chiesa di S. Giorgio Maggiore
29 Luglio 2021
A poca distanza dalla cattedrale, all’angolo tra via Duomo e piazza Crocelle ai Mannesi, è ubicata la chiesa di S. Giorgio Maggiore, frutto di una serie di restauri e ricostruzioni che hanno completamente cambiato l’aspetto originale della basilica paleocristiana costruita dal vescovo Severo nel V secolo.
La chiesa, orientata nord-sud, è composta da una navata centrale e una sola navatella laterale, perché, in occasione dei lavori per l’allargamento di via Duomo (1880-1885), la navata destra venne demolita. La navata centrale riceve abbondante luce da sei finestroni aperti tre per parte, sui cappelloni di destra e sulle grandi arcate laterali della navata sinistra. Nel soffitto si aprono tre cupole: la mediana più grande a tamburo, le altre due basse a scodella. I pilastri, che separano le navate, sono cimati da capitelli compositi e ornati di rosoni fanzaghiani. La navata di sinistra ospita, oltre ad un piccolo ambiente adibito a sacrestia, tre altari. La navata centrale si conclude con un’ampia tribuna quadrangolare, non a livello con il pavimento della navata; infatti, si accede ad essa tramite alcuni gradini ed è recinta da una balaustra di marmo. Su di essa è collocato l’altare maggiore dietro cui si vedono due colonne che sorreggono una sorta di architrave, verosimilmente, ad imitazione della trifora dell’antica abside paleocristiana. Nel presbiterio, in corrispondenza dell’ingresso secondario su via Duomo, è collocato un sedile marmoreo attribuito al vescovo Severo (363-409), committente della basilica paleocristiana.
L’ingresso principale della chiesa di S. Giorgio Maggiore avviene, come già detto, dal grande portale che affaccia su piazza Crocelle ai Mannesi; esso si apre sulla parete del deambulatorio dell’abside paleocristiana che, oggi, fa da atrio alla chiesa. L’abside paleocristiana, sormontata da una volta a catino, ha una pianta semiellittica; al centro, si aprono i tre archi di una trifora, poggianti su due colonne intermedie; risulta essere l’unico esempio superstite, databile agli inizi del V secolo, di abside con archi aperti su un deambulatorio concentrico. Ciò è dovuto, probabilmente, al fatto che la maggior parte delle absidi delle chiese cristiane, che avevano gli archi aperti su un deambulatorio, sono state interessate da successivi restauri, finalizzati ad una maggiore staticità degli edifici; per cui, nella maggior parte dei casi si è provveduto a murare gli archi stessi. In ambito campano, bisogna far riferimento alla basilica di S. Gennaro extra moenia e alla basilica di S. Giovanni Maggiore. La prima, collocata all’interno dell’ospedale di S. Gennaro de’ Poveri, dove si può osservare l’abside di una chiesa cimiteriale, secondo alcuni, fatta edificare dal vescovo Severo tra la fine del IV e i primi anni del V secolo, secondo altri, agli inizi del VI. Mentre, la basilica di S. Giovanni Maggiore presenta nell’emiciclo absidale quattro arcate su pilastri quadrati, per dare accesso ad un deambulatorio radiale: questo, sebbene ancora inaccessibile, per la presenza di più tarde fabbriche a ridosso e per la tompagnatura degli archi, deve ritenersi di ben maggiore sviluppo rispetto a quello, limitatissimo e rimaneggiato, di S. Giorgio Maggiore.
Ritornando all’abside paleocristiana di S.Giorgio, essa è stata realizzata in opus listatum, tecnica costruttiva che prevede l’alternanza di tufelli e mattoni: nell’emiciclo absidale, fino all’imposta degli archi della trifora, si alternano una fila doppia di mattoni con una singola di tufi; poi, a partire dall’estradosso degli archi, e, quindi, dalla parete della volta a catino, i filari di tufo si raddoppiano, diminuendo in dimensione; poi, salendo verso la chiave del catino, ai filari doppi di tufo, si alternano file singole o doppie di laterizi. Le murature sono visibili a causa della perdita del mosaico che, in età paleocristiana, ricopriva le pareti del catino e dell’opus sectile che, presumibilmente, ricopriva le pareti dell’abside.
Al centro dell’emiciclo absidale si aprono i tre archi a tutto sesto della trifora, costruiti con un’alternanza di un concio di tufo e due blocchi di mattoni rastremati. Questi archi sembrano essere appartenenti alla fase originale della struttura; essi si appoggiano su due colonne intermedie in granito, probabilmente di riuso, e ben conservate; esse sono sormontate da due capitelli corinzi, anch’essi di riuso (II secolo d. C.). I pulvini, invece, recano scolpita sul frontespizio la croce monogrammatica: il riccio della lettera P del monogramma è raddoppiato e rivolto sotto in modo da imitare la lettera latina R; ai lati, invece, sono scolpite le lettere A e Ω. Alle spalle della trifora, è visibile ciò che resta dell’ambulacro, costituito da una zona curvilinea a forma di falce lunare, ricostruita durante i lavori del 1880.
L’analisi stratigrafica delle strutture pertinenti l’abside ha permesso di riconoscere otto fasi costruttive, oltre ad una serie di restauri: la prima fase è individuata dai resti della basilica, commissionata dal vescovo Severo (363-409). Contemporaneo di papa Damaso, di S. Ambrogio e di Paolino di Nola, egli segnò il rifiorire del Cristianesimo dopo i rigurgiti del paganesimo e gli attacchi violenti degli eretici ariani. Tra i primi atti del suo governo, ci fu il trasporto in patria delle spoglie del predecessore, il vescovo Massimo, morto in esilio nella persecuzione ariana. Della chiesa fondata da Severo rimangono soltanto le strutture pertinenti l’abside. Non è possibile sapere com’era strutturata la basilica alla sua fondazione, visto che non ci è pervenuta alcuna descrizione. Da una fonte del IX secolo sappiamo, soltanto, che il catino absidale era decorato con un mosaico rappresentante Cristo e i dodici Apostoli. Gli Atti della Visita pastorale effettuata dall’arcivescovo Annibale de Capua nel 1580 attestano, invece, che la chiesa, preceduta da un piccolo portico, era divisa in tre navate da venti colonne marmoree, dieci per lato. Esistevano diciotto cappelle o altari.
Nel gennaio del 1640, in seguito ad un gravissimo incendio doloso, si decise il totale rifacimento della basilica. Il progetto di una nuova chiesa fu affidato a Cosimo Fanzago. Egli intervenne sull’orientamento degli accessi e del coro, ma non semplicemente invertendo la posizione del presbiterio, sistemandolo là dove era l’ingresso dell’antica basilica, ma razionalizzando tutte le possibilità di accesso alla nuova chiesa, che rimaneva incorporata, in tal modo, tra gli ambienti conventuali e proprietà aliene. Lo scambio coro-ingresso è il risultato dell’intervento del Risanamento. L’antica chiesa non fu completamente abbattuta; a parte la conservazione dell’abside, è da credere che venissero utilizzate parte delle strutture esistenti e che, comunque, fu demolita per parti: probabilmente, furono distrutte solo quelle strutture che intralciavano la realizzazione del coro e della tribuna. Successivamente, i lavori furono affidati all’architetto Guglielmelli. Negli anni 1880-1885 furono effettuati i lavori per l’allargamento di via Duomo, l’arteria che avrebbe dovuto congiungere via Foria con via Marina. Il progetto fu redatto dagli architetti Cangiano e Francesconi e approvato da Ferdinando II nel 1852, anche se, poi, i lavori furono iniziati solo nel 1861 e dopo vent’anni erano ancora in corso. Fu proprio in questa occasione che fu riscoperta l’abside della chiesa paleocristiana. Nel 1880, si aprì una disputa, in vista della prospettiva di abbattere l’abside. Contro tale eventualità insorsero studiosi ecclesiastici e laici e sarà, solo, grazie al loro intervento, che la struttura sarà salvata dal progetto di abbattimento. Rimaneva, a questo punto, il problema della facciata e dell’ingresso: si decise, così, di liberare l’abside dalle superfetazioni e si aprì in essa il nuovo ingresso.
L’analisi stratigrafica dell’abside, da me condotta, resa possibile dalla schedatura delle murature e da nuovi rilievi grafici, ha permesso di individuare le fasi costruttive e proporre una periodizzazione dei restauri subiti dalla struttura paleocristiana. Il confronto crono-tipologico ha confermato che l’abside di S. Giorgio Maggiore, l’unico esempio superstite di abside paleocristiana ad archi aperti con deambulatorio, va datata agli inizi del V secolo.
CAROLINA CASTIELLO