Letteratura, cinema e televisione e l’arte di raccontare
29 Luglio 2021Dal libro alla pellicola
Come si sviluppa nel tempo il rapporto tra parola scritta e racconto visivo
Il «narrare» cinematografico si sta facendo strada, ma è ancora forte e diffusa l’idea del cinema come semplice registrazione di immagini e suoni.
Occorre approfondire il rapporto tra narratività cinematografica e narratività letteraria per comprendere meglio analogie e differenze tra le due forme di comunicazione.
La letteratura ha sempre avuto un primato rispetto al cinema, poiché veniva identificata come la cultura, cioè la miglior forma di rappresentazione della coscienza di sé dell’uomo e della società, questione complessa per il cinema che parla attraverso la combinazione di audio e video in movimento. In più si aggiunge che il cinema possiede una caratteristica unica, che è insieme pregio e difetto, cioè quella di «rendere tutto credibile, in quanto conferisce ad ogni oggetto lo stesso carattere di realtà», autolimitandosi nella capacità espressiva.
Possiamo individuare quattro tipi diversi di rapporto che intercorrono tra cinema e letteratura:
1. Rapporto indiretto: influenza culturale della letteratura sul cinema e viceversa.
2. Rapporto indiretto: relazione tra film tratti da opere letterarie ed opere letterarie tratte da film.
3. Rapporto di pre-testualità: la sceneggiatura come ipotesi «scritta» del film.
4. Rapporto di aggregazione: le didascalie del cinema muto e i dialoghi del cinema sonoro come componente specificatamente «letteraria del film».
Dal punto di vista storico occorre notare che il cinema alla nascita si inseriva in un sistema di espressione del racconto già consolidato, cioè quello della letteratura e, a parte qualche eccezione che si rifaceva al teatro, la maggior parte delle opere di quel periodo cercarono di narrare tramite schemi ispirati alla letteratura; e questo fu positivo, perché il sistema letterario così differente da quello cinematografico, ha imposto a quest’ultimo una maggiore articolazione e la creazione di un codice tutto nuovo, fatto che il teatro, probabilmente non avrebbe indotto, creando un appiattimento tra i due tipi di spettacolo.
Il racconto cinematografico agli esordi soffre inoltre dell’influenza della crisi del romanzo e dell’intera nozione di narrativa letteraria, fenomeno che ha rallentato ulteriormente l’affermazione della narratività nel cinema.
La situazione muta notevolmente con l’avvento del cinema industriale e il rinvigorirsi dell’industria cinematografica americana: essa, infatti, ambisce alla creazione di stereotipi e generi che possano facilitare la produzione, e trarre spunto da opere letterarie, sfruttandone la già consolidata notorietà, garantiva maggiore successo e credibilità. ?
L’industria americana in questo periodo sfrutta abbondantemente la letteratura per le proprie produzioni, dando più spesso importanza alla quantità che alla qualità, tanto da degradare il rapporto cinema e letteratura e farlo disdegnare dagli ambienti intellettuali.
Nell’occidente europeo, abbiamo ampia diffusione di film «tratti da», ma mentre in Italia i casi sono sporadici e non sempre di successo, in Francia abbiamo forti influenze ispirate alla tradizione del romanzo ottocentesco.
Con l’avvento del neorealismo il rapporto tra cinema e letteratura viene nuovamente ostacolato, a favore di una produzione soprattutto propagandistica.
Dal dopoguerra in poi abbiamo poi una sorta di inversione di tendenza caratterizzata da un confronto tra letteratura e cinema più ad armi pari, fino a giungere al fenomeno del libro «tratto da» un film, che non ha comunque riscosso grande successo.
Il rapporto cinema e letteratura resta comunque controverso perché mette a confronto due tipologie di comunicazione molto complesse tra di loro diverse.
A creare nuove forme di narrazione ci pensa infine la televisione, attraverso il racconto seriale, che consente ad autori e sceneggiatori, di approfondire le trame letterarie, offrendo un prodotto sempre più raffinato e diversificato.
Questo passaggio dalla lettura del romanzo alla “lettura” della trama televisiva porta con sé numerosi vantaggi, come quello di trasmettere allo spettatore conoscenze, citazioni, culture che magari non avrebbe appreso in altro modo, lo “costringe”, con la scusa dell’avvincente serialità, a farsi entrare quelle nozioni in testa. Alcune serie sono infatti ricolme di letteratura, di grande cinema, di grande teatro.
Insomma, pensiamoci: in Doctor House abbiamo un genio scapolo, drogato, solitario e misantropo che utilizza un sistema molto personale e poco ortodosso per risolvere casi clinici estremamente complessi; al suo fianco c’è un amico meno intelligente, ma sincero, il cui cognome comincia per W. al quale espone le sue fulminanti intuizioni. Vi ricorda qualcosa? Insomma, il modello alla Sherlock Holmes è di un’evidenza disarmante.
Si tratta, insomma, di grandi narrazioni a puntate (come lo erano le opere di Dickens o Dumas) i cui personaggi ormai entrano nei discorsi delle persone molto più facilmente che i protagonisti dei romanzi contemporanei.
Il punto è proprio che un tipo di narrazione non è inferiore all’altro, ma uno dipende dall’altro, per forza e grande impatto: c’è Conan Doyle dietro il Dr. House, Defoe e Stevenson dietro Lost, Mario Puzo dietro I ..?Soprano e c’è dello Stendhal e dei personaggi maledetti di Dostoevskij dietro Breaking Bad. Lodiamo quindi questo nuovo mezzo di comunicazione, che porta nelle nostre televisioni un prodotto di enorme significato e di grande elaborazione narrativa.
Melania Marciano