Origini e storia della canzone napoletana
29 Luglio 2021Un viaggio alla ricerca delle origini della canzone napoletana è un viaggio suggestivo e avventuroso che ci riporta nei primi secoli dell’era cristiana, tra contadini, pastori e pescatori, ma anche tra briganti e cantastorie. Ci riporta, insomma, tra quelli che furono i discendenti più diretti dei rapsodi greci e dei cantori latini. Gli storici non hanno trovato gli elementi sicuri per datare la prima melodia del popolo napoletano e si può dire che questa oscurità delle date è il significato di una origine luminosamente mitica del fenomeno del canto di Napoli. Se è vero che Ulisse si fece legare all’albero della sua nave per non essere incantato dalla voce delle Sirene, è già da allora dunque che la Canzone aleggiava nel Golfo tra Procida e Capri, così lusinghevole e forte da indurre un eroe come Ulisse a difendersi da quella attrazione irresistibile. Comunque sia, il primo canto situato in un’epoca sicura è il famoso Canto delle lavandaie del Vomero, risalente al tempo di Federico di Svevia, intorno al 1200; dopodichè comincia la fioritura di poesie e di musiche, che sulle labbra del popolo, senza che se ne conoscano i nomi degli autori, diedero l’avvio alla canzone napoletana.
Già fra il 1400 e il 1500 le canzonette napoletane si contano a centinaia, e si cantavano a più voci, con accompagnamento di liuto: la matrice era stata la “Villanella”, un tipo di canzone agreste (Napoli era allora tutta cinta di verde, di orti o campi) che diede origine ad un fenomeno musicale fra i più interessanti della storia della musica in Europa. Su versi napoletani, scrissero le “villanelle alla napoletana” famosi compositori come Orlando di Lasso, Luca Marenzio, Orazio Vecchi, Adriano Willaert, fino a Carlo Gesualdo, Giovanni Maria Trabaci, Claudio Monteverdi, Giulio Caccini, i più bei nomi insomma della musica polifonica italiana. Successivamente le villanelle cedettero il campo a composizioni meno dotte, meno polifoniche: nasceva la canzone monodica, ad una sola voce con accompagnamento di strumenti, cioè la moderna canzone napoletana.
Quando si parla di “canzone classica napoletana” ci si riferisce in particolare alla produzione ottocentesca e della prima metà del Novecento; secondo alcuni studiosi la data di nascita della canzone classica napoletana sarebbe il 1839, anno in cui a Napoli dilaga la melodia di “Te voglio bbene assaie” scritta da Raffaele Sacco e musicata (probabilmente) da Gaetano Donizetti. Sulla nascita di questo brano ci sono molti pareri discordi ma tutti convengono nel ritenere che questa canzone sarebbe stata scritta improvvisando una scherzosa risposta nei riguardi di una avvenente signorina e, in ogni caso, tutti convergono sul carattere estemporaneo del componimento. Il 1880, anno di Funiculi’ Funicula’, (la notissima canzone scritta dal giornalista Peppino Turco e musicata da Luigi Denza per pubblicizzare la nuova funicolare che portava al Vesuvio, inaugurata il 6 maggio 1880), indica la seconda data che alcuni ritengono sia il battesimo della canzone napoletana. Le celebrazioni della festa di Piedigrotta sono l’occasione ideale per l’esibizione dei nuovi pezzi, che vedono tra gli autori personalità quali Salvatore di Giacomo, Libero Bovio, Ferdinando Russo, Ernesto Murolo, Caruso. Tra le più belle canzoni scritte da Di Giacomo (bibliotecario del conservatorio di musica di Napoli) sembra doveroso ricordare: Marechiaro, Era de Maggio, E spingule frangese, Carulì, Palomma ‘e notte, componimenti in cui le melodie, ma anche l’immediatezza dei sentimenti, emergono in modo viscerale. Il 1898 è l’anno della canzone più nota in tutto il mondo, “O Sole Mio”, del grande Libero Bovio autore di alcuni capolavori come “Tu ca nun chiane” e “Reginella” . Vasta è la produzione di Vincenzo Russo (morto di tisi a soli 28 anni) la cui collaborazione con il musicista Eduardo Di Capua fa firmare le più belle canzoni degli ultimi anni dell’800, in cui si delineano delle tipologie fisse: la finestra, le rose, il desiderio di dormire vicino all’amata ed il sonno che svanisce per l’assenza dell’innamorata. Sono gli ultimi barlumi del romanticismo che si ritrovano in un’epoca ormai già decadente: Maria Mari, I’ te vurria vasa’ e Torna Maggio.
Nel 1902, dalla collaborazione tra il pianista Ernesto De Curtis e suo fratello Gianbattista (poeta e pittore) nasce la canzone “Torna a Surriento”, scrittasu richiesta del sindaco di Sorrento Guglielmo Tramontano al fine di ingraziarsi il presidente del consiglio Zanardelli per ottenere la creazione di un ufficio postale. Il 1906 è l’anno di nascita della famosissima canzone “Comme facette mammeta” scritta da Giuseppe Capaldo e musicata da Salvatore Gambardella. Nel 1911 Alessandro Sicsa (detto Cordiferro) scrive “Core ‘ngrato” musicata da Salvatore Cardillo: il testo si ispirava alle vicende sentimentali del grande tenore napoletano Enrico Caruso, lasciato dalla compagna (il soprano Ada Giacchetti) che fuggì con il loro autista e insieme al quale cercò di estorcergli del denaro. La canzone, cantata dallo stesso Caruso fu un successo straordinario. Il grande tenore, emigrato poi in America, ha il merito di aver diffuso e fatto apprezzare la canzone napoletana in tutto il mondo. Nel 1986 il cantante Lucio Dalla gli lascia un doveroso omaggio con la canzone “Caruso”. A pochi metri di distanza dalla cappella dove riposa Enrico Caruso si trova la tomba del grande Antonio De Curtis autore di “Malafemmena” scritta nel 1951.
Sotto l’incalzare della prima guerra mondiale, Aniello Califano scrive nel 1915 il suo grande successo O’ surdato nnammurato, musicato da Enrico Cannio e rimasto nel cuore per il motivo molto orecchiabile. Ma la tristezza di Califano riecheggia ancor piu’ in “Tiempe Belle” del 1916, un brano di struggente analisi del suo tempo musicato da Vincenzo Valente in cui Califano rimpiange un passato felice ormai lontano.La Seconda guerra mondiale segnò profondamente la città di Napoli ed anche la canzone non poté sfuggire alla tragicità degli eventi: Munasterio ‘e Santa Chiara è la testimonianza più struggente di quel momento. Come sempre, Napoli riesce anche a sorridere nei momenti più bui e “Tammurriata Nera” è l’esempio di come l’umorismo partenopeo fosse sempre pronto ad emergere, anche di fronte a fatti tragici. È il periodo d’oro del Festival della Canzone Napoletana, ma è anche l’epoca di fenomeni innovativi: Peppino di Capri opera una “fusion” fra melodia napoletana e ritmi di altre culture musicali, imponendosi all’attenzione di critici e pubblico; Renato Carosone mette a disposizione le sue esperienze di pianista classico e di jazzista, le fonde con ritmi africani e americani e crea una forma di macchietta, ballabile e adeguata ai tempi. La parabola storica della canzone napoletana termina nella seconda metà degli anni ‘60, quando il Festival della canzone napoletana entra in crisi concludendosi nel 1970. Altri autori di canzoni napoletane sono: Mario Abbate, Sergio Bruni, Aurelio Fierro, Mario Da Vinci. La fama di questo genere rimane oggi immutata nonostante il passare del tempo, e tutti i cantanti affermati inseriscono regolarmente pezzi classici napoletani nel loro repertorio.
Nello Boccarusso