Italo Calvino: Ottavia, la città ragnatela
6 Dicembre 2023Pubblichiamo il lavoro degli alunni del 1^ Liceo Scientifico coordinati dalla Prof. Maria Ciniglio
«D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda».
Cent’anni fa nasceva Italo Calvino, uno degli scrittori più eclettici e poliedrici del secolo scorso. Le sue opere, frutto di numerose sperimentazioni, ci stupiscono ancora oggi per la varietà di generi letterari e per la sorprendente attualità.
In occasione del centenario dalla nascita, ci siamo dedicati alla lettura di alcuni passi tratti da Le città invisibili, libro pubblicato nel 1972 nel quale ogni capitolo è dedicato alla descrizione di una città immaginaria. Ogni città ha un nome di donna e nella finzione del racconto è Marco Polo, il celebre mercante veneziano del Duecento, autore del Milione, a farne una descrizione all’imperatore cinese Kublai Khan.
Tra le tante, una città in particolare ha attirato la nostra attenzione: Ottavia, la città-ragnatela, di cui riportiamo il testo:
Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città-ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s’intravede più in basso il fondo del burrone.
Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il resto, invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, becchi del gas, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi, teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo.
Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge.
Dopo aver letto e analizzato accuratamente la descrizione, abbiamo provato a trasformare le parole di Calvino in un disegno, che ci ha permesso di dare una nostra interpretazione del racconto. L’aspetto più interessante di questo laboratorio è stato senza dubbio riconoscere come da un unico testo, per giunta breve, possano scaturire molteplici letture a seconda di chi legge. Tuttavia, nonostante le diverse interpretazioni, ci appare chiaro l’insegnamento che l’autore ci ha voluto lasciare: la vita di chi vive a Ottavia, paradossalmente, risulta meno incerta di altre città perché i suoi abitanti sanno che la rete che tiene insieme tutto quanto, prima o poi, si romperà. Ancora oggi, nel XXI secolo, le parole di Calvino sembrano parlarci con incredibile attualità: noi nativi digitali viviamo in una società troppo spesso soltanto virtuale, motivo per cui dobbiamo tener presente che, come gli abitanti di Ottavia, abbiamo un’unica certezza: quella rete che ha creato legami all’apparenza solidi prima o poi si spezzerà, costringendoci a ritornare nel mondo reale.
Ci colpiscono, infine, le parole con cui si chiude la straordinaria opera di Italo Calvino:
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.