I diritti d’autore: la querelle tra D’Annunzio e Scarpetta

28 Novembre 2023 Off Di Rita Terracciano

Volarono gli stracci tra Eduardo Scarpetta e Gabriele D’Annunzio (foto) su una tematica ancora attuale: il copyright. Il tutto iniziò quando il genio del teatro napoletano pensò di fare la parodia de “La Figlia di Iorio” che la trasformò ne
“Il Figlio di Iorio”; poi si recò a Marina di Pisa nel 1904 per incontrare il Vate e chiedere la sua approvazione.

Durante questo incontro, D’Annunzio lesse il copione ed acconsentì verbalmente alla messa in scena ma il poeta, però, non fu di parola: nel momento in cui furono annunciate le date di debutto della parodia, la prefettura di Napoli fu sommersa da numerose lettere di protesta inviate da D’Annunzio stesso e da molti suoi compagni. Nonostante ciò, il prefetto non proibì l’imminente messa in scena, che però fu sabotata da un pubblico istruito e comandato ai fischi dalla schiera dannunziana.

A causa del chiasso provocato in teatro, Scarpetta, vestito con abiti da donna, fu costretto a sospendere lo spettacolo ed a chiudere il sipario. Poco dopo D’Annunzio, che era anche proprietario amministrativo della SIAE, ufficializzò la querela per plagio contro Scarpetta dando via al processo che si svolse a Napoli nel 1908 e si concluse a favore del commediografo (difeso da Benedetto Croce): “Il Figlio di Iorio” venne ufficialmente dichiarata una parodia e non un plagio, come sosteneva il poeta (difeso da Salvatore Di Giacomo), perché ne veniva stravolta la struttura e l’intento dell’opera, senza copiarla od emularla.

Nonostante la vittoria, Eduardo, distrutto ed estenuato dal lungo processo e mortificato per l’umiliazione che gli oppositori, schierati con l’intellettuale, gli avevano inflitto, decise di ritirasi dalle scene.